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Perché si trovano all’ingresso dei santuari
Ma perché di solito all’entrata dei santuari si trovano questi barili di sakè chiamati sakadaru? Innanzitutto, questi barili non sono pieni ma vuoti e hanno solo scopo decorativo. Si chiamano per l’appunto: kazaridaru (飾り樽). Kazaru (飾る) in giapponese è il verbo “decorare”. Ma, anche se vuoti hanno un profondo significato spirituale.
Infatti, in Giappone si è sempre pensato che il sakè potesse unire le divinità con le persone. Non a caso nei testi antichi la parola usata per sakè è miki (神酒) data dall’unione dei kanji divinità (神) e sakè (酒). Anche nei festival alle volte viene dato gratuitamente, proprio per far sentire più felici le persone e creare un tutt’uno con le divinità. Sorseggiarlo diventa quindi preghiera ed è un atto di unificazione simbolica con il divino.
Chi offre i barili di sakè ai santuari
I santuari shintoisti hanno così bisogno di quantità di sakè importanti quando celebrano i loro festival o matsuri (祭り). Quindi sono costretti a chiederli ai produttori di sakè delle zone limitrofi o nazionali. Ma visto che in Giappone ci sono solo 1.800 compagnie che producono sakè hanno creato un comitato che decide quanto e a quale santuario mandarlo.
Di solito i birrai danno solo barili vuoti per l’esposizione come segno di devozione o di sentimento (kimochi (気持ち)) o ne danno in quantità adeguata al numero dei partecipanti del matsuri altrimenti sarebbe uno spreco: mottainai (勿体ない).
Questa sorta di risparmio non va però interpretata come avarizia ma è un segno di rispetto per le divinità shintoiste che non fanno domande irragionevoli alle persone e quindi evitando lo spreco li si rispettano.
I sakadaru dei vari santuari
Al Meiji Jingu a Tokyo i sakadaru ricevuti come donazione sono impilati e legati con una corda ad un telaio. Nel santuario di Hachiman, sempre a Tokyo, i sakadaru vengono messi in una struttura di legno simile ad una libreria. I santuari più piccoli, invece, li mettono solo esposti.
Ci sono anche pochissimi santuari che producono il loro stesso sakè. Ma dall’ottavo secolo la produzione di questo ultimo è regolamentata dallo stato che chiede che ci sia una regolare licenza.
In tutto il Giappone solo quattro santuari possono fare il sakè. Tra questi l’Okazaki Hachiman Shrine nella prefettura di Yamaguchi che fa un sakè bianco chiamato shiroki (白き). Altri 40 santuari producono invece una sorta di sakè chiamato doburoku (濁酒) fatto dal riso non filtrato.
Il sakè di solito non viene conservato in botti di legno in quanto da queste potrebbe assorbire il gusto e l’odore del legno. Di solito solo qualche giorno prima la loro consegna ai santuari, per le feste o altre occasioni speciali, dalle vasche di acciaio viene versato nelle botti di legno.
Per avere uno di questi barili non è necessario ordinarli dai santuari ma comprarli in qualsiasi negozio di sakè. Questi barili prendono il nome di komodaru (菰樽) in quanto il komo (菰) è la paglia intrecciata intorno alle doghe del barile. Si possono acquistare o vuoti o pieni per celebrare feste personali come i matrimoni. Di solito sono venduti in barili da 72 litri (四斗) con un costo tra i 50.000 yen e 150.000 yen (390,00 Euro e 1.100 Euro). Se si pensa che 72 litri sono troppi si possono comprare da 18 litri ma che hanno un falso fondo, chiamato agezoku (上げ底).
La tradizione di rompere i barili di sakè
È consuetudine alle feste di Capodanno, ai matrimoni e alle consacrazioni di nuovi edifici rompere un barile di sakè in una cerimonia chiamata kagamibiraki (鏡開き). Kagami (鏡) significa “specchio”, ma in questo caso si riferisce al coperchio di legno posto sulla parte superiore del barile. I pochi favoriti armati di martelli di legno, dopo aver espresso desideri di salute, felicità e prosperità, brandendo i loro martelli e gridando, sfondano il coperchio del barile. Dopo segua l’abituale distribuzione del sakè e del brindisi.
Dopo tutto ciò non resta che dover arrivare al fondo del barile!