Chi furono i primi ambasciatori giapponesi ad andare in Europa? Semplice, furono quattro ragazzi giapponesi scelti da dei gesuiti che presero il nome di “Ambasciata di Tensho” che è l’abbreviazione del nome originale giapponese “天正遣欧少年使節” letteralmente “I giovani legati del periodo Tensho” o “La missione dei ragazzi Tensho“.
Cominciamo col dire che lo scopo iniziale non fu proprio quello di creare un’ambasciata anche se in Europa fu vista come tale e forse alla fine se convinse anche lo stesso gesuita padre Alessandro Valignano che ne aveva avuto l’idea.
Contenuti
Il motivo della spedizione a Roma
“…per poter imprimere nello spirito di Sua Maestà e Sua Santità le cose del Giappone e per imprimere nei giapponesi la grandezza della Santa Chiesa e del Cristianesimo d’Europa…”
Dal libro di Padre Valignano “Dialogo sulla missione degli ambasciatori giapponesi alla Curia Romana”
In origine i motivi dell’ambasciata Tensho furono due ed entrambi decisi da padre Alessandro Valignano, visitatore della Compagnia di Gesù in Giappone.
Il primo era quello di mostrare all’Europa che quanto scritto dai gesuiti nelle loro lettere sul Giappone non era frutto di fantasia ma un qualcosa di concreto.
Il secondo motivo della spedizione a Roma fu quello di inviare dei giapponesi in Europa che a loro volta avrebbe potuto narrare, una volta tornati in patria, della vita europea e di come il cristianesimo fosse importante in quel continente.
Infatti, padre Alessandro Valignano aveva sentito parlare del Giappone ma come una voce lontana, aveva sentito della sua ricchezza e della sua bellezza ma quando arrivò in Giappone la toccò con mano. Capì che quanto aveva sentito era solo parte della realtà.
Infatti, per esempio, pesso si trovò nel castello di Azuchi e ne ammirò la bellezza, così come si trovò a parlare a Nobunaga vestito dei suoi preziosi e lussuosi abiti.
Padre Valignano voleva quindi mostrare la bellezza dell’Europa ai giapponesi. Questi, infatti, nonostante avessero ricevuto doni dai portoghesi presenti in Giappone li vedevano ancora come dei barbari. Una visita, un viaggio in Europa avrebbe potuto aprire gli occhi a queste persone e forse aprirli di più al cristianesimo stesso.
Il gesuita riuscì a convincere Nobunaga di questa visita diplomatica che avrebbe dovuto unire Roma con Kyoto. Era l’inizio dell’ambasciata Tensho.
La partenza da Nagasaki
Pertanto il 20 febbraio 1582 dal porto di Nagasaki partirono il gesuita Diogo de Mesquita, tutore e insegnate dei quattro giovani giapponesi, non ancora sacerdote e di ventinove anni, e fratel Jorge de Loyola di anni venti accompagni dai giovani giapponesi.
I quattro giovani comprendevano due nobili: Ito Mancio che rappresentava il daimyo di Bungo, Otomo Yoshishige, e Michele Chijiwa che rappresentava il daimyo di Omura, Omura Sumitada, e il daimyo di Arima, Arima Yoshisada. A questi si aggiunsero, come meri accompagnatori, Giuliano Nakaura e Martino Hara. Ma anche questi ultimi furono visti come delegati e pertanto i quattro presero il nome di “Ambasciata Tensho”.
I giovani erano appena dodicenni e provenienti da tre regioni del Giappone diverse che si erano convertite.
Vista l’importanza dei passeggeri il capitano, Ignazio de Lima, diede loro la propria cabina.
Per le tre settimane che furono fermi a Macao, durante il viaggio, mentre l’equipaggio lavorava incessantemente, loro si concentravano sui loro studi latino con Diogo de Mesquita e delle altri discipline..
Nel novembre del 1583 arrivarono a Goa dove furono accolti dal primo dignitario europeo. Qui ebbero una notizia shock: Valignano era stato nominato provinciale delle India e quindi fu costretto a rimanervi.
L’arrivo a Lisbona dell’ambasciata Tensho
“È difficile esprimere a parole tutta la nostra gioia all’arrivo in quel porto, sia perchè dopo sei mesi di navigazione giungevano finalmente a termine i fastidi e le difficoltà del viaggiare, sia perchè i nostri occhi si pascevano della meravigliosa varietà di tante cose nuove”
Dal libro di Padre Valignano “Dialogo sulla missione degli ambasciatori giapponesi alla Curia Romana”
L’11 agosto del 1584 raggiunsero il porto di Lisbona.
Diogo e i suoi compagni si nascosero nella cabina del capitano mentre la nave era scaricata.
I ragazzi dell’ambasciata Tensho erano alquanto sconvolti, dopo due anni e mezzo di viaggio avevano viaggiato così lontano, e avrebbero finalmente messo piede nel continente di Roma e del papa. Furono per questo fatti sbarcare di notte per evitare l’attenzione e l’eccitazione dei cittadini di Lisbona.
Presto la cominciarono ad apprezzare e capirono che Lisbona era un’importante città costruita sui profitti del commercio di spezie, schiavi, seta e argento.
La carrozza del viceré Cardinale Alberto con i suoi quatto cavalli bianchi li portarono in giro per la città dove ammirarono case di nobili, chiese, conventi, monasteri, fortificazioni, negozi e scuole. Una delle prime sorprese fu proprio la comodità della carrozza rispetto ai palanchini. Altre novità apprezzate furono i palazzi costruiti su più piani e le fontane.
Madrid e Filippo II
Lasciata Lisbona il viaggio proseguì verso Madrid. Viaggio agevolato dal dono del cardinale Alberto di una carrozza e di 300 corone. Qui sarebbero stati accolti dallo zio del cardinale Alberto, forse il sovrano più potente di Europa, re Filippo II di Spagna.
Arrivati a Madrid il re salutò i giovani nobili in maniera informale, senza il baciamano, ma con un abbraccio, poi, subito iniziò una conversazione casuale con loro riguardante la loro salute, il loro paese e su cosa indossassero in Giappone. Il re fu particolarmente attratto dalle loro calzature tant’è che un giovane se ne tolse una e gliela fece vedere da vicino.
In seguito i giovani dell’ambasciata Tensho fecero la loro orazione, in giapponese e spagnolo, ormai imparata quasi a memoria che fece contento il re.
L’incontro si concluse con i vespri nella cappella reale dove le candele ardevano, le dolci voci del coro lodavano il cielo e gli organi con un grande rombo abbracciavano la camera. Qui mentre i ragazzi si inginocchiavano pregando sui banchi davanti cominciarono ad apprezzare sempre più la religione aliena che avevano abbracciato.
I giovani capirono bene cosa avevano visto. Gli europei non erano barbari come i loro connazionali pensavano. Erano cordiali, civili, potenti, colti e gloriosi.
Il viaggio a Roma
“…entrammo dapprima in privato e come senza testimoni e fummo ricevuti con un abbraccio pieno di benevolenza dal padre Claudio Acquaviva, proposito generale della Compagnia di Gesù…”
Dal libro di Padre Valignano “Dialogo sulla missione degli ambasciatori giapponesi alla Curia Romana”
Lasciata Madrid fu la volta del viaggio a Roma. A Madrid vi erano stati circa un mese.
L’arrivo in Italia avvenne per nave e nel porto di Livorno il 1 marzo 1585.
Il viaggio fino a Roma durò quattro mesi con le consuete visite a chiese, monasteri e santuari.
Durante il viaggio i quattro samurai dell’ambasciata Tensho si fermarono a visitare diversi nobili locali. Ricordiamo a Pisa, Pietro de’ Medici, e il Gran Duca e la Gran Duchessa di Toscana, Francesco I de’ Medici e Bianca Capello. Una sera in un clima di festa e danze anche due giovani dell’ambasciata Tensho furono invitati a danzare con delle nobildonne.
Il viaggio proseguì poi per Firenze, Pisa e Viterbo con le relative visite di luoghi di culto e di casate nobiliari.
A Firenze ebbero la sorpresa di vedere, chiusi in delle gabbie: dieci leoni, quattro tigri, quattro orsi e due lupi cervieri.
Presto ricevettero però il messaggio di accelerare il loro viaggio in quanto le condizioni di salute del papa stavano peggiorando.
Chi non ha visto Roma si dice che sia stato privato da uno dei belli panorami del mondo. L’ambasciata Tensho ebbe però la fortuna di vederlo.
Il 22 marzo, essi la raggiunsero. Erano trascorsi tre anni dalla loro partenza da Nagasaki. L’arrivo fu però nascosto in quanto quello ufficiale era previsto il giorno dopo. La prima accoglienza fu fatta da Claudio Acquaviva, primo Generale della Compagnia di Gesù.
L’arrivo ufficiale a Roma dell’ambasciata Tensho
“…con pompa e onor pubblico, come Ambasciatori regi, e ciò in concistoro, e nella sala regia”.
Dal libro di Padre Valignano “Dialogo sulla missione degli ambasciatori giapponesi alla Curia Romana”
Furono accolti da delle fanfare che erano parte della scorta inviata da papa Gregorio VIII. Roma accolse felice e trepidante i giovani giapponesi come se fossero stati i magi venuti dall’oriente.
L’ambasciata Tensho attraversò Roma per arriva sino a Castel Sant’Angelo dove li aspettava il papa.
Il papa salutò i giovani con un bacio sulla guancia e un abbraccio.
La cerimonia di accoglienza aveva previsto un discorso in giapponese, e la relativa traduzione in italiano, in cui i tre giovani manifestavano la fedeltà e la venerazione al papa. Seguì un discorso del gesuita Gaspar Gonzalez in latino che lodò le isole giapponesi e asserendo che come le isole britanniche si erano convertite al cristianesimo così il Giappone doveva entrare a far parte dell’ovile di Cristo.
Alla fine il papa in commozione decise di lasciare la stanza permettendo a due giovani di tenergli i lembi dei suoi vestiti, questo era un onore estremo assegnato solo agli ambasciatori dei grandi imperi.
A Roma, i giovani dell’ambasciata Tensho in una solenne celebrazione furono nominati cittadini romani e patrizi.
Nella città eterna il papa l’incontrò più volte e gli fece diversi regali e nei loro incontri il papa li interrogava sul loro paese e la loro cultura.
“Che dire ancora? Quando quel santissimo pontefice, diciotto giorni dopo il nostro arrivo a Roma, dopo breve malattia e ormai vecchio rese il respiro alla natura e l’anima a Dio corse la voce che il papa era spirato per la gioia della nostra venuta.”
Dal libro di Padre Valignano “Dialogo sulla missione degli ambasciatori giapponesi alla Curia Romana”
Tristemente il papa Gregorio VIII morì 18 giorni dopo l’incontro con l’ambasciata Tensho.
La visita continuò con il nuovo papa eletto Sisto V. Parteciparono alla processione di instaurazione del papa a cavallo da San Pietro sino alla Basilica di San Giovanni.
Successivamente, un altro giorno, questi li nominò “cavalieri dello sperone d’oro”.
Nella cerimonia, mentre erano inginocchiati, il papa gli consegnò la spada, lì baciò, li avvolse teneramente con delle catene d’oro intorno al collo e gli donò quattro paia di speroni d’oro. I quattro samurai erano ora cavalieri dello sperone d’oro. Così, due di loro divennero nobili alle due estremità della terra.
Il viaggio di ritorno
La loro odissea a casa fu anche più lunga di quanto fosse stato il loro pellegrinaggio a Roma. Passarono attraverso Assisi, Bologna, Venezia, Milano, Genova, Barcellona, Madrid, Lisbona, Mozambico, Goa e Macao.
Viaggiarono in tenuta di onore e parteciparono a tutte le udienze finali con i vari nobili e in particolare con re Filippo e il viceré del Portogallo. In queste visite ricevettero vari doni per la missione giapponese.
“Fatti tutti i preparativi, come ho detto, grazie alla generosità del cardinale e alla sollecitudine dei padri e dopo i saluti tra lacrime e cocente rimpianto, il 12 aprile [1586] ci imbarcammo con diciannove padri della Compagnia su una nave portoghese dedicata all’apostolo San Filippo”
Dal libro di Padre Valignano “Dialogo sulla missione degli ambasciatori giapponesi alla Curia Romana”
Il viaggio di ritorno a Nagasaki accompagnato ha richiesto ancora una volta quattro lunghi anni.
Il loro viaggio lasciò una scia in tutta l’Europa che fece fremere di eccitazione non solo le città in cui erano stati ma anche altre. In loro onore furono scritte almeno 76 opere pubblicate in italiano, spagnolo, portoghese, latino, francese e tedesco.
Lettere e pubblicazioni che raggiunsero città come Praga e Cracovia e che arrivarono anche alla Regina Elisabetta che forse non fu molto contenta di essere stata esclusa da tutte queste visite.
La missione e l’ambasciata Tensho dalla parte del viaggio aveva soddisfatto il suo scopo. I giovani erano entusiasti dell’Europa e avevano capito chi erano gli europei, dall’altro lato gli europei aveva conosciuti quattro giovani educati, dotti e cortesi che presentavano lo stereotipo del giapponese.
Il problema che dovettero fronteggiare al loro rientro in patria fu un altro: il Giappone era cambiato.
L’ambasciata Tensho ritorna a Nagasaki
L’ambasciata Tensho arrivò a Nagasaki il 21 luglio 1590.
Il Giappone non aveva più come shogun Nobunaga e le sue lunghe guerre ma sembrava aver raggiunto una solida pace sotto il nuovo reggente imperiale Toyotomi Hideyoshi.
Ma mentre Nobunaga era stato positivamente disposto verso la missione a causa dei suoi benefici materiali, Hideyoshi era più un enigma. Nel 1587 essendo stato disgustato dai portoghesi che facilitavano la schiavitù giapponese, il massacro di animali per la carne, che mancavano di rispetto per le credenze giapponesi e preoccupato per il loro atteggiamento generale era persino andato così lontano da emettere un bando di espulsione.
La prima ambasciata giapponese in Europa era composta da ragazzi ma al ritorno le famiglie si trovarono davanti dei giovani adulti che non riconobbero. Padre Diogo dovette presentare alle famiglie le loro credenziali diplomatiche.
I ragazzi intrattennero, in attesa della convocazione ufficiale presso lo shogun, i loro compatrioti con i loro racconti di viaggio in cui presentarono mappe, oggetti esotici e opere d’arte avuti in dono.
Arrivò il giorno della convocazione a Jurako a Kyoto. Era il 3 marzo 1591.
I quattro giapponesi andavano da Hideyoshi non in qualità di ambasciatori ma come facenti parte del seguito di Valignano che era ambasciatore di Duarte de Meneses.
Hideyoshi che li aveva chiamati per informazioni sulla cristianità e il viaggio gli chiese anche l’esecuzione di musica europea che i ragazzi eseguirono suonando l’arpicordo e altri strumenti.
Hideyoshi aveva trovato la musica piacevole e aveva detto che gli ricordava le baracche dei barcaioli e i canti delle bande di lavoratori. Accarezzò gli strumenti sorpreso dalle loro forme strane e dal disegno ingegnoso. Ai giovani furono richiesti tre bis.
Sembrava che l’impresa era andata magnificamente come si poteva sperare ma la gioia non poteva durare. Hideyoshi emanò un altro editto anticattolico nel 1597 e questa volta lo sostenne con crocifissioni.
Alla morte di Hideyoshi ci fu lo shogun Tokugawa Ieyasu. Questi iniziò con l’usurpare le terre dei nobili giapponesi convertiti al cristianesimo. Anche lui continuò a perseguitare i cristiani e i gesuiti.
I gesuiti finirono per essere espulsi definitivamente nel 1614 in seguito ai rapporti inglesi di presunti tentativi di regicidio dei gesuiti contro i governanti giapponesi. Gli inglesi si erano finalmente vendicati per essere stati messi in ombra per tutti quegli anni.
Per quanto riguardava ora il governo giapponese, i cattolici erano criminali da riformare e se si rifiutavano di rivedere i loro modi dovevano essere persuasi dell’illegalità dei loro atti con tutta la forza della legge che prevedeva tortura e la morte, se necessario. Iniziò così la caccia e la persecuzione dei criminali cristiani.
Le abili scelte di Tokugawa portarono nel giro di pochi decenni a sradicare gli insegnamenti stranieri dal Giappone.
L’ambasciata Tensho dopo il ritorno in Giappone
Il 25 luglio 1591, dopo le varie visite i quatto giapponesi entrarono nel noviziato della Compagnia di Gesù. Per la loro entrata ufficiale in seminario, in via straordinaria, fu fatta una festa.
Tre dei membri dell’ambasciata Tensho furono ordinati preti nel 1608. Ma dopo otto anni passati in viaggio insieme e gli anni di formazione le loro vite presero strade diversi.
Martino Hara a seguito delle persecuzioni, fuggì a Macao nel 1614. Ebbe una discreta reputazione come predicatore. Si occupò di scrivere la storia della chiesa in Giappone, cosa che fece fino alla sua morte il 23 ottobre 1629.
Ito Mancio morì di malattia a Nagasaki alla sola età di 43 anni il 13 novembre 1612. Evangelizzò soprattutto la città di Kokura e successivamente il Kyushu.
Michele Chijiwa rifiutò la fede cristiana e divenne apostata nel 1606. Forse aveva dimenticato quanto visto nei suoi viaggi o la paura di morire prese semplicemente il sopravvento. Qualcuno pensa che abbia solo abiurato perchè non era stato ammesso all’ordinazione presbiterale.
Si dice che forse in punto di morte sia tornato al cristianesimo. C’è chi lo immagina infatti sul letto di morte afferrare le perline del rosario con le mani e iniziare a sussurrare in giapponese: “Ave Maria, megumi takata“, poi il suo latino a lungo dimenticato tornò improvvisamente da lui nella morte: “Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum…“.
Morì il 21 gennaio 1633.
Giuliano Nakaura da sacerdote esercitò il suo ministero per quasi quaranta anni. Fu catturato e giustiziato nel 1633. La sua tortura che consisteva nell’essere legato in un telo affinché respirasse male, essere appeso per i piedi a testa in giù in una buca piena di letame. Il martirio durò quattro giorni e le sue ultime parole furono: “Io sono Nakaura che è andato a Roma. Accetto questa grande sofferenza per amore di Dio“. Morì a Nagasaki il 21 ottobre 1633. È stato fatto santo nel 2008.
Quasi un secolo più tardi, ci fu la missione di Hasekura che ebbe un grande eco mediatico ma la prossima ambasciata giapponese in Europa non sarebbe stata fino al 1862.